Dopo una settimana, ancora un atto intimidatorio contro Emanuela Isopo, rappresentante di Unione Inquilini di Fiumicino e componente della segreteria nazionale.
Dopo Messina e Napoli, questo è un altro fatto grave con l’obiettivo di minacciare e impedire l’attività sindacale.
Episodi che si ripetono in maniera inquietante e che meritano una riflessione e una risposta adeguate.
La riflessione è la seguente: l’Unione Inquilini è un presidio di lotta per la giustizia sociale contro le politiche neoliberiste e al tempo stesso un presidio di legalità contro i poteri criminali che penetrano dentro i territori e dentro il sistema fatiscente della gestione delle case popolari.
La libertà sindacale è quindi minacciata. Lo dobbiamo dire con grande forza. E’ minacciata dall’alto con la cosiddetta “Legge Sicurezza” che, non ci stanchiamo di ripetere ha l’obiettivo di criminalizzare le lotte operaie e sociali ma , allo stesso tempo, individua come “target” i sindacalisti e gli attivisti dei diritti umani, minacciati di pene detentive pesantissime anche in caso di resistenza passiva, solidarietà pacifica e umanitaria.
Ricordiamolo con altrettanta forza: le mafie e la criminalità in genere ingrassano e si diffondono come una piovra maleodorante e venefica, anche grazie all’assenza dello Stato e alla mancanza di risposta nella direzione della giustizia sociale.
Se ci sono 650 mila famiglie in vana attesa di una casa popolare, pur avendone il diritto certificato dai comuni e 90 mila alloggi ERP non assegnati perché non agibili, questo è il più grande favore che si può fare a chi sulla sofferenza sociale specula, imponendo una maglia di ferro nei territori.
Per tali ragioni, i richiami alla legalità e al pugno di ferro da parte di chi ci governa sono atti ipocriti perché non si rivolgono a chi lotta contro i poteri criminali ma contro chi li combatte.
Chiunque sta al fianco di chi soffre e lotta per migliorare la propria condizione, al di là delle diversità delle culture di riferimento, deve unirsi e mobilitarsi assieme.
Nessuno giri la faccia dall’altra parte, per non fare la fine della poesia: “Alla fine vennero a prendere ma non c’era rimasto più nessuno che poteva protestare”.



