domenica, Dicembre 8, 2024
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Roma: cronaca di una giornata di lotta. La denuncia dell’Unione Inquilini: CAAT Romanina 2 “uno schiaffo al diritto all’abitare”.

IL COMUNICATO UFFICIALE DELL’UNIONE INQUILINI DI ROMA

Oggi, fra il Centro di Assistenza Alloggiativa Temporanea “Romanina 2”, dove vivono ancora 35 famiglie, e la Sala Consiliare del Municipio VII, si è svolto un fatto increscioso e gravissimo, un vero è proprio schiaffo al diritto all’abitare. Fin dalle prime luci dell’alba, gli ospiti del C.A.A.T. si sono radunati davanti alla struttura poiché, in data odierna, era previsto lo sgombero dei tre nuclei di occupanti: un nucleo formato da una donna incinta, suo figlio e il suo compagno con le stampelle e gravi problemi motori per una lesione permanente alla spina dorsale, un altro formato da una coppia con i loro due bambini e l’ultimo formato da una donna con due figli piccoli, di cui uno sordo e invalido al 100%, e lo zio di 75 anni, cieco da un occhio e con serissime difficoltà di deambulazione. Addirittura, in maniera infinitamente meschina, è stata notificata in contemporanea la revoca e l’accesso con sgombero a una coppia di rifugiati politici etiope-eritrea e ai loro figli due maggiorenni, (anche in questo nucleo il padre è ultrasessantacinquenne, invalido e malato di tumore) con l’evidente e malaugurato intento di portare a termine lo sgombero in concomitanza con la notifica della revoca. Inoltre, occorre dire che le soluzioni relative al passaggio da C.A.A.T. a C.A.A.T., previste per coloro che non hanno avuto la possibilità di rientrare fra i, sinora, 13 alloggi E.R.P. assegnati dal Dipartimento Politiche Abitative in occasione della prossima chiusura della struttura, sono inidonee e invivibili per molti ospiti, persone che vivono nel circuito dei C.A.A.T. da più di 15 anni, senza alcuna possibilità di avere un’abitazione vera, relegati in spazi angusti e malconci e spostati come pacchi postali a seconda delle necessità dell’Amministrazione. Delle soluzioni che dovevano durare pochi mesi sono diventati ghetti entro i quali bambini sono nati e cresciuti senza mai sapere cosa volesse dire avere una casa propria, dove coppie di ultrasettantenni che li ci sono invecchiati, rischiano, ora, che la morte arrivi prima del sogno di una vita: una casa. Queste strutture sono state un vero salasso per i romani, a favore di pochi speculatori privati, hanno invece sottratto ai loro ospiti la dignità di avere una casa propria e di poter contribuire alla società di cui vogliono far parte, pagando un affitto adeguato alle loro possibilità e sostenendo i costi delle utenze. Non vedendo nessuno arrivare, il sindacalista presente e un gruppo di ospiti si sono recati alla Sala Consiliare del Municipio VII, per portare le loro istanze e vertenze all’attenzione dell’Assessore Zevi, presente in occasione della discussione di una Mozione Municipale sull’emergenza abitativa. Una volta arrivati, in attesa di parlare, è arrivata la notizia dell’arrivo al C.A.A.T. delle forze di Polizia Locale e della funzionaria competente del Dipartimento Politiche Abitative, intente a cercare di convincere gli occupanti ad accettare situazioni assurde che portavano allo spaccamento del nucleo, relegando ai ricoveri per senzatetto uomini in quelle condizioni e portando in casa famiglia le madri e i bambini. Soluzioni false e pretestuose, poiché anch’esse avrebbero avuto un tempo limitato e avrebbero diviso delle famiglie colme di fragilità e fondate sull’assistenza reciproca. Assistenza che, se venisse meno, metterebbe a rischio la salute e la vita di quelle persone. A questo punto, mentre alcuni si apprestavano a tornare indietro per bloccare lo sgombero, poi rimandato, altri sono rimasti interrompendo la seduta e contestando in maniera fortissima l’operato dell’Assessorato e degli uffici. In particolare, quando il sindacato si è preso la parola, ha espresso estremo sdegno per i fatti, affermando l’impossibilità, arrivati a questo punto, di continuare a sopportare quanto sta accadendo, sottolineando come sia un atto di assoluta ipocrisia pensare di parlare di emergenza abitativa davanti ai cittadini mentre si da adito a scempi del genere, evidenziando come continuare a pensare di relegare persone in camere d’albergo per vent’anni, spesso ampiamente sotto i criteri stessi per l’abitabilità degli alloggi che prevedono una metratura di almeno 28mq e comunque quasi sempre sovraffollate rispetto al numero di componenti dei nuclei, sia un atto di barbarie che deve assolutamente finire. Infine, occorre dire che delle case assegnate la maggioranza ha certamente bisogno di interventi profondi e in condizioni cattive, se non pessime o addirittura di inagibilità. Nonostante tutto questo, l’Assessorato e gli uffici continuano a portare avanti un gioco al ribasso sulla pelle delle persone: non possiamo accettare che, dopo aver parlato per mesi di collocazione in graduatoria come criterio di assegnazione degli alloggi (come scritto sulla delibera che regola la chiusura di C.A.A.T.) si sia passato a un criterio di doppia fragilità che vorrebbe far passare, politicamente, che la casa popolare sia qualcosa di destinabile solo ai moribondi, agli amputati, agli invalidi, ecc. e che, per avere un tetto sopra la testa, si debba arrivare a quelle condizioni. A questo punto, nonostante i ringraziamenti che porgiamo ad alcune figure istituzionali che tanto si sono impegnate sulla vicenda, come Adriana Rosasco, Rosa Ferraro e Nella Converti, come anche degli uffici, in relazione alle figure dell’Avvocato Piedimonte e del Dottor Ciro Attanasio, come già esposto in sede di Consiglio, non riteniamo più in grado Assessore e Dipartimento a portare avanti da soli l’opera di chiusura del C.A.A.T., chiediamo quindi che la questione sia portata al tavolo del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, poiché riteniamo un problema di ordine pubblico pensare di mettere per strada soggetti fragili, di spostare famiglie di tre persone in 25mq, di pensare che le persone che là ci hanno vissuto quasi vent’anni debbano continuare ad essere condannati a questo “fine pena mai” sentenziato dalle incapacità delle Amministrazioni che si sono succedute e da interessi speculativi privati che ledono queste persone e tutti i romani. Secondo noi, la soluzione, è che il supplizio finisca: che a queste persone sia data finalmente un casa.

UNIONE INQUILINI DI ROMA

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